domenica 25 giugno 2017



Presentazione opere di Ligustro 
presso il Museo Chiossone

Pregiatissimo Libro Palloncini donato al Museo di Arte Orientale Edoardo Chiossone

Cassetta audio lato A e relazione cartacea
Buona giornata, il problema che le opere del nostro Berio in arte Ligustro, ma ancora per poco Ligustro, perché cambierà nome, quest’opera d’arte sua l’ho conosciuta soltanto negli ultimi tempi. Oggi non dovrei essere io qui, ma dovrebbe esserci un grande estimatore dell’opera del nostro Ligustro che risponde al nome di Jack Hillier che è un inglese, purtroppo trattenuto in Inghilterra, che ha scritto proprio a Ligustro una bellissima lettera in cui diceva che per ragioni di salute della moglie era impossibilitato a venire e che esprimeva molti auguri per questa sua vernissage ed è un uomo che ha avuto parole di grande stima nei riguardi di Ligustro, di grande stima e di grande apprezzamento sul quale però ritorneremo alla fine del discorso; la lettera comunque è agli atti; è una bellissima lettera molto affettuosa.
Ho aderito molto volentieri all’invito che il nostro Giovanni Berio in arte Ligustro, mi ha caldamente rivolto di partecipare oggi alla presentazione di una delle sue realizzazioni più recenti non certo perché la mia insicura competenza in questo genere d'arte possa illuminare gli intervenuti sui valori tecnici ed artistici del nostro impareggiabile Maestro, ma per cercare di rilevare, insieme noi tutti, il significato che possiamo cogliere, annettere all’istanza che egli avverte profondamente di aderire nella sua opera al linguaggio tecnico, poetico, estetico del mondo artistico e letterario giapponese.
Sotto questo aspetto, Ligustro non è figura eccentrica ed isolata di artista europeo o, più in genere, occidentale. Il richiamo, la suggestione, il magistero esercitati dalle arti giapponesi sulle arti dell'Occidente europeo sono un fenomeno che ha ormai superato di gran lunga il secolo di vita. E non parliamo di quando la ceramica o le prime porcellane giapponesi nel XVII secolo cominciarono ad affluire in Europa ed ebbero tante imitazioni al punto che quando poi si riinserirono nei traffici le ceramiche cinesi queste dovettero adottare gli espedienti giapponesi e anche le prove cromatiche giapponesi perché le porcellane giapponesi andavano di più. Il problema che è anche alla base dell’arte di Ligustro è anche il problema della sensibilità cromatica e se c’è oggi da parte di qualche nostro artista questo richiamo verso l’arte giapponese è anche perché ci accorgiamo consciamente o inconsciamente che il Giappone ha fatto all’altro capo del mondo delle prove di cromatismo, di sperimentazione cromatica che, direi, dall’altro capo del mondo abbiamo fatto soltanto noi; diciamo quindi che ci riinseriamo in un certo senso, in un’antica tradizione proprio di ricerca di valori cromatici. Ma la vera scoperta del Giappone è avvenuta nel secolo scorso e quando avvenne questa riscoperta del Giappone poco dopo la metà del l'Ottocento, quando i vari Stati d'Europa e d'America stipularono con i paesi i primi trattati internazionali, il Giappone fu una rivelazione in chiave romantica di tutto un genio così detto genio nipponico. Furono ben pochi gli aspetti della cultura del lontano arcipelago che non attraessero: in campo filosofico-estetico, la concezione eroica della vita e della morte; in campo etico, i valori dell’attaccamento al dovere, della lealtà, del sacrificio, della disciplina interiore. Grande risonanza ebbero le arti marziali giapponesi ed oggi sono e restano familiari anche alle nostre più giovani generazioni pratiche come il judo, il kendo, l’aikido. Piacquero molti aspetti della cultura materiale nipponica connessi col suo mondo guerriero ed il suo spirito marziale: dalle armature con le loro terrifiche maschere, alle alabarde, alle spade fino ad oggetti come gli tsuba, cioè le arabescate guardie delle sciabole. Tutto questo lo voglio ricordare perché ci troviamo nel Museo Chiossone che è veramente uno grandi tesori che ha Genova e non solo per questi aspetti di arte giapponese ma per aspetti veramente unici che rivelano anche quella che è stata grande personalità di colui che ha collezionato queste raccolte ossia Edoardo Chiossone di cui oggi mi sono molto compiaciuto nel visitate l’EXPO 92 che i giapponesi hanno dedicato nel loro padiglione sulla loro nave tutta una sezione a Edoardo Chiossone e diciamo così che Edoardo Chiossone è una delle figure di GRANDI UOMINI uomini in questo caso dobbiamo dire di GRANDI uomini Liguri che sono andati alla scoperta del mondo alla valorizzazione del mondo e che hanno anche saputo cogliere anzitempo, rispetto ad altri, quelle che erano le grandezze di un mondo ancora agli antipodi e lui, da incisore, scoprì la grandezza dell’incisione giapponese e lui chiamato come GRANDE esperto di arte dell’incisione moderna andò in Giappone e si chinò dinnanzi all’arte dell’incisione giapponese scoprendone tutti i grandi valori che, a distanza di un secolo, ha scoperto il nostro Ligustro.
Piacquero anche molti altri aspetti delle arti e della cultura del Giappone. In molte case entrarono kimono, paraventi, dipinti, stampe, ventagli, ombrelli, spilloni e pettini giapponesi; si moltiplicarono i servizi di ceramiche e lacche; si diffusero le collezioni dei netsuke, i minuscoli ciondoli scolpiti. Dominò un clima di japonaiserie o di japonisme: il teatro lirico ne avrebbe avuto un lascito con Madame Butterfly. Presto doveva rivelarsi una scoperta anche la cultura letteraria giapponese, la poesia e la narrativa e solo poco più tardi il teatro. Nella letteratura si sarebbero registrati influssi seri, sul simbolismo ed altre correnti, da Baudelaire a Claudel ad Ezra Pound; dura a morire nel nostro secolo sarebbe stata poi tutta una narrativa di istanza esotica, che prendeva ispirazione o si poneva come rifacimento o ricostruzione di opere, temi o ambienti giapponesi: da Pierre Loti a Lafcadio Hearn, al nostro/vostro Bartolomeo Balbi e persino ad Emilio Salgari. Soprattutto incisiva fu l'influenza sulle arti figurative.
La grande stagione dell'impressionismo francese, ma anche del preraffaellismo inglese, fiorì sulla presa magnetica esercitata dalla calligrafia e dalla xilografia giapponese. Le stampe di Utamaro, di Hiroshige, di Hokusai hanno avuto forse più ammiratori in Europa che nello stesso Giappone: dopo le "Trentasei vedute del monte Fuji" di Hokusai, si ebbero le "Trentasei vedute della Torre Eiffel" di Henry Rivière. All'epoca l'arte pittorica europea si stava profondamente rinnovando per generi, tecniche stili. Il monaco buddhista zen, che avrebbe legato la sua fama ad una pittura "bozzettistica" per lo più in bianco e nero, Gibon Sengai, suggerì i nuovi mezzi che potevano offrire la calligrafia l'inchiostro di china: al fascino di una nuova arte del disegno cedette Toulouse Lautrec, mentre lui stesso, con altri dei maggiori artisti europei, trovava nelle stampe giapponesi una serie inesauribile di suggerimenti: la fantasia dei primi piani, una più armoniosa o audace apposizione di colori, la distribuzione di luci e ombre, l'osservazione precisa, eppure indistinta, sfumata, della natura. Gli artisti giapponesi si erano indissolubilmente legati al ritmo della linea, al contorno, alla forza espressiva del tocco, alla luminosa semplicità dei colori, esaltando la suggestione simbolica. Libera da rigidi legami prospettici e di chiaroscuro, la pittura giapponese appariva espressione di emozioni; i suoi elementi suggerivano più che rivelare direttamente, evocavano immagini delicate e poetiche e di gran forza e vigore, dipinte come nel vuoto, che raggiungevano effetti di ricercata piattezza; i colori, scelti indipendentemente da legami naturalistici, erano abbinati talora più per ammirevole contrasto che per armonica combinazione. Walter Crane, tra i preraffaelliti inglesi uno dei più importanti conoscitori delle arti giapponesi, si pronunciava:
ecco finalmente un'arte popolare in cui dominano tradizione e maestria e la cui espressione è di un'avvincente varietà e forza descrittiva...

Emile Zola sarebbe stato uno dei primi a registrare l'influenza della pittura giapponese su quella occidentale:

E' certo che la nostra cupa pittura, la nostra pittura a olio, ne fu molto influenzata e ne proseguì lo studio con riguardo a questi orizzonti trasparenti, a questa bella e dinamica colorazione dei pittori giapponesi...

Però quella che aveva rinnovato o stava rinnovando la pittura europea non era affatto la "pittura" giapponese, ma un genere che all'epoca era certo considerato assai più vile: la stampa. Molte stampe giapponesi avevano raggiunto l'Europa come semplice carta per avvolgere e imballare mercanzie che erano considerate ben più preziose: le porcellane, le lunghe pipette e spesso altre cianfrusaglie: Monet aveva scovato i capolavori delle stampe di Hiroshige e Hokusai presso una tabaccaia. A quei giorni, in Giappone, la grande stampa d'arte non aveva più considerazione di quanto non ne abbia oggi da noi il foglio di un vecchio giornale o di un rotocalco. Era infatti l'espressione di un'arte esplicitamente legata all'effimero, al giornaliero, al mondano, profano e caduco: si chiamava l'ukiyo, il "mondo fluttuante". La pittura, con le stampe che ne derivavano, era detta ukiyo-e; la narrativa ukiyo-zoshi: arti di consumo, piuttosto che di celebrazione o di consegna alla posterità. L'Europa, ancora paludata nelle sue arti, ricevette una ventata innovativa, uno spirito di vitalità, e all'ukiyo-e dovevano rimanere indissolubilmente legati molti nomi di grandi pittori ed artisti europei: ne ricordiamo solo alcuni, oltre il citato Toulouse Lautrec: Rossetti, Manet, Degas, van Gogh, Gauguin, Pissarro, che trovarono nelle opere dell'ukiyo-e, una nuova visione formale, una diversa concezione della prospettiva e soprattutto una diversa combinazione e sintesi di disegno e colore. Altre influenze giapponesi ricorsero sui modelli figurativi, sui repertori di animali e piante e motivi ornamentali vari. La pittura e l'incisione europee non monopolizzarono comunque le influenze giapponesi. Queste si esplicarono anche attraverso tecniche e stili su altre arti, per esempio - col Liberty e, più in generale, con l'Art Nouveau - sulla ceramica, il vetro, i metalli. Inoltre non tutte le influenze giapponesi ebbero rilevanza solo nei decenni a cavallo fra Otto e Novecento. Anzi, in quei decenni molte cose furono ignorate o restarono incomprese. Gli stessi Giapponesi, pur negli anni in cui il loro paese suscitava compiaciuta popolarità, rimproveravano l'Occidente che le loro arti, la loro cultura non fossero pienamente conosciute e apprezzate nei loro valori, ma per lo più solo nelle loro espressioni minori: per l'appunto, le stampe, le porcellane, i piccoli oggetti da usarsi come soprammobili. Si era andata sviluppando l'idea che il Giappone avesse prodotto una "cultura del piccolo": un'idea che tra l'altro avrebbe messo radici.
Oggi sappiamo che il Giappone non esprimeva soltanto una cultura del piccolo e sappiamo anche che anche oggi stiamo riscoprendo tante cose della tradizione giapponese; tutta l’architettura giapponese ma soprattutto abbiamo scoperto in questi ultimi anni tutti noi e diciamo a livello borghese a livello alto borghese e anche a livello medio borghese anzi addirittura a livello popolare certe cose stiamo scoprendo arti come l’ikebana, il bonsai, la cerimonia del tè, l’origami per i bambini e oggi come oggi incominciano ad abbondare le gamme le cromatiche di design giapponesi.


Ancora nel 1905, un autorevole e grande studioso come Basil Hall Chamberlain scriveva:
Il genio giapponese tocca la perfezione nelle piccole cose. Nessun'altra nazione ha imparato come fare così bene di una coppa, di un vassoio, anche di un bricco un oggetto d'arte, come trasformare un piccolo pezzo d'avorio in un microcosmo di strano sapore, come esprimere un pensiero effimero in una mezza dozzina di colpi di pennello. Il massiccio, lo spazioso, l'imponente sono meno congeniali al loro temperamento. Per questo raggiungono meno successo nell'architettura rispetto alle altre arti.
Una concezione evidentemente basata sul monumentalismo marmorea di una tradizione europea che non era stata ancora superata. La, scoperta dei valori spaziali e modulari dell'architettura giapponese, così pure della sua ambientazione con la natura ed il paesaggio, era ancora di là da venire. Ma anche questa scoperta non avrebbe tardato molto, e l'addentrarsi del Novecento sarebbe stato un progressivo riconoscimento dei valori moderni dell'architettura giapponese. Bisognava solo attendere che l'Occidente passasse dall'architettura in pietra o mattoni a quella in cemento armato o in acciaio - abbandonando la vecchia tradizione edilizia basata sul muro portante in favore di un'architettura basata, come strutture portanti, su pilastri e travi - perché comprendesse l'importanza delle soluzioni che il Giappone aveva già dato alla propria architettura avviandola precocemente verso i criteri dei moduli strutturali, del funzionalismo e del prefabbricato. Oggi l'architettura giapponese può essere ritrovata in edizioni finanche imprevedibili ed opinabili un po' dappertutto e su tutti i continenti, così come riconosciamo un po' ovunque nelle loro ispirazioni giapponesi certi giardini, certi arredi con mobili a muro, pannelli, tramezzi. Che dire poi del fascino sottile che esercitano arti come l'ikebana, il bonsai, la "cerimonia del tè", l'origami? In altre arti, quelle cosiddette applicate, ma anche nella moda, nella pubblicità, abbondano le gamme cromatiche ed il design giapponesi. Sul piano della speculazione filosofica, il pensiero giapponese, specialmente con lo zen, annovera i suoi appassionati cultori; nella letteratura, la poesia breve giapponese, quella dell'haiku, esercita una forte carica di suggestione.
La personalità artistica di Giovanni Berio si colloca dunque tra quelle di una fitta schiera di estimatori del Giappone: letterati, artisti, architetti, designers, intellettuali, per i quali il Paese del Sol Levante è stato ed è fonte di ispirazioni. Fra gli Italiani, resta ancora uno dei pochi. Egli ama definirsi uno "xilopoetografo" e già questo presentarsi come tale ne rivela il complesso approccio al Giappone, un approccio multiplo: in primo luogo da artista e da letterato o, per vuole, da poeta.
Nella nostra tradizione non s'è consacrata la simbiosi dell'arte e delle lettere che s'è avuta nel mondo estremorientale, dalla Cina al Giappone. Tutti sappiamo che il Giappone ereditò dalla Cina molte tecniche ed arti. La Cina aveva formulato un'estetica della pittura strettamente congiunta con un'estetica filosofico-letteraria ed una estetica poetica. Il nesso fra l'una e l'altra era dato dalla calligrafia. Sommo pittore era un sommo calligrafo ed al contempo un sommo letterato. Ma i grandi pittori-letterati o letterati-pittori della Cina erano personalità artistiche di uno status sociale tanto riservato da ricusare il professionismo artistico. Le loro opere di "puro" diletto escludevano interessi di mestiere. Fu questa una ragione per cui un'arte antica e originale della Cina, come appunto quella della xilografia, la stampa con matrici fatte di tavole di legno incise, non ebbe diritto di cittadinanza come arte liberale, rimanendo per lo più al rango di un artigianato anonimo solo "al servizio" dell'arte con l'A maiuscola. La stampa cinese, al pari dell'arte dell'illustrazione che la precedette, ebbe egualmente grande perfezionamento e guidò l'evoluzione dell'editoria in tutto l'Estremo Oriente, realizzando i progressi che dovevano portare dal solo bianco e nero alle piene policromie per tirature di libri, album, fogli singoli.
In Giappone, le arti, tutte le arti, trovarono un ambiente diverso. La manualità del più umile artigianato non offendeva né il nobile, né l'artista, né l'uomo di cultura, così come non offendeva l'aspettativa di potersi ricavare un onorevole utile da un lavoro che fosse frutto di personale talento. Vi furono imperatori che forgiarono spade o composero calligrafie che mettevano regolarmente in vendita; vi furono illustri daimyō (signori) che, non solo protessero, ma coltivarono arti anche umili. L'arte dell'illustrazione raccolse cultori d'ogni ceto sociale e fu un'arte nobile come popolare, al pari di come poi fu poi quella della stampa, che doveva anch'essa raccogliere artisti d'ogni estrazione sociale. Si ebbero dunque vari generi di illustrazione e di stampa.
Ora, un genere che divenne molto di moda dalla seconda metà del Settecento e si ricollegava alla tradizione delle stampe cinesi di "nuovo anno" fu quella che i giapponesi chiamarono dei surimono, letteralmente "stampati", "stampe", fogli con grafica, pittura e testi scritti destinati ad esprimere auguri o rallegramenti, rivolgere inviti, presentare creazioni artistiche o poetiche: insomma, solo in parte un equivalente dei nostri cartoncini augurali, ma, a differenza di questi, di solito di elevato valore artistico. Erano artisti esimi, quando non addirittura illustri, che li componevano; erano poeti di buona stoffa, quando non di fama o di grido, che ne dettavano le odi, se non erano i poeti stessi a concepirli e a comporli. Una presentazione di surimono in Italia ha avuto luogo quasi dieci anni fa a Torino su patrocinio del CeSMEO, il Centro Piemontese di Studi sul Medio ed Estremo Oriente, che ne patrocinò un catalogo a cura di Helena Markus (Surimono - Stampe augurali nel Giappone del '700 e '800, Firenze, Mario Luca Giusti, 1983).
Giovanni Berio sembra abbia specialmente di questi surimono sentito il fascino. Da un lato, forse perché erano state le più preziose produzioni in cui si era cimentata, anche fuori del circuito commerciale, la stampa d'arte giapponese che padroneggiava la piena policromia del nishiki-e, la cosiddetta "pittura broccato", le cui tecniche erano, nel secondo Settecento, da poco sbarcate dalla Cina e perfezionate in Giappone; dall'altro, perché i surimono rappresentavano qualcosa di più sul piano artistico della stampa e della pittura del "mondo fluttuante", "effimero", "della transitorietà", legata al nome dell'ukiyo-e. Perciò per rendere merito al nostro Ligustro, che la sua ispirazione non è anche tecnicamente soltanto nel campo della stampa come, penso, sia stato forse detto, nella stampa dell’ukiyo-e, ma più in generale di tutto il discorso di stampa, ed io direi di stampa estremo orientale e oggi non parlerei più di stampa giapponese ma anche di stampa cinese. Ma questo io l’ho potuto vedere ed apprezzare soltanto oggi; ieri quando ho scritto la relazione molte cose non le sapevo; diciamo che vorrei essere come voi una persona in crescita nella conoscenza del nostro Ligustro.
A differenza di quanto generalmente si pensa, l'ukiyo-e non monopolizzò la stampa d'arte giapponese dell'epoca Tokugawa (1600-1867), così come non monopolizzò la pittura dell'intero arco di tempo, mentre molta altra produzione pittorica fu tradotta in stampa d'arte. Un esempio, per noi in questa sede pertinente, è rappresentato dalla cosiddetta "pittura meridionale" (nanga) o "pittura dei letterati" (bunjinga) che, accasatasi all'epoca dalla Cina e specialmente dai suoi centri meridionali, fece molta presa sugli artisti e letterati che non si identificavano nel mondo dell'ukiyo. Molte personalità erano di pittori-poeti o viceversa, quando non anche di fini calligrafi, che integravano di versi o saggi calligrafici le loro opere pittoriche: ne nacque un genere specifico, uno dei tanti, l'haiga, una combinazione di poesia e pittura, nella quale i brevi haiku, di soli tre versi, erano scritti su un lato del foglio, spesso a commento o illustrazione del tema del dipinto, il quale usciva così anche arricchito del saggio calligrafico. In un ambito più circoscritto figurarono i cosiddetti zenga, cioè i dipinti che i monaci zen dei secoli XVII-XIX corredavano o integravano di versi o brevi iscrizioni.
I surimono testimoniarono nella stampa dei loro fogli il discorso congiunto di "pittura-letteratura", "disegno-poesia", "grafica-calligrafia" che veniva proseguito nell'eredità di un'ormai antica tradizione. Spesso l'opera richiedeva o nasceva da una collaborazione - diciamo - "a più mani": l'artista per il disegno o il dipinto; il poeta per le odi di sua creazione; l'incisore e lo stampatore per l'intaglio delle matrici e la tiratura dei fogli. Però non mancavano eclettiche personalità di pittori-poeti-incisori che concepivano e completavano da soli le loro opere in tutte le fasi che esse comportavano.
Giovanni Berio ha la tempra che avevano questi ultimi: per questo si definisce, e lo possiamo riconoscere, come “xilopoetografo". Poi vedremo che anche lui si avvale della collaborazione di altri. In primo luogo, padroneggia magistralmente l'incisione e l'intaglio del legno, nonché le tecniche d'inchiostrazione, di colorazione e di stampa ad un grado veramente sofisticato di raffinatezza. Le sue opere ne danno un saggio tecnico eloquente. Se molti artisti occidentali di scuola preraffaellita ed impressionistica, non imitarono espressamente le tecniche dell'ukiyo-e, ma ne ebbero solo influenze per il disegno, lo stile e il colore, non mancarono artisti che si cimentarono nelle stesse tecniche giapponesi: citiamo Henri Rivière, John Platt, Félix Vallotton. Ora, uno dei più autorevoli esperti di xilografia giapponese, Jack Hillier, ha dichiarato che nessuno si è avvicinato alla maestria con cui il nostro Ligustro padroneggia, sono parole di Jack Hillier, le “complessità delle tecniche d'intaglio e di stampa". Nelle composizioni v'è poi eleganza formale e compositiva, come potete vedere tutti, ora con una caratteristica disposizione diagonale delle immagini; ora con un ritmo e movimento di linee sottili, fluide e leggere che danno vita al disegno; ora con la purezza e la brillantezza dei colori, accostati con armonia ed eleganza su un'ampia scala cromatica.
Ci piace richiamare che uno dei grandi artisti che apprezzò i colori giapponesi, li usò rendendoli quasi "ornamentali", donò loro tonalità dorate, entusiasmandosi per la brillantezza ed il chiarore della luce, fu alla fine del secolo scorso Vincent Van Gogh. Questi scriveva del paesaggio di Arles all'amico Emile Bernard:
...la regione, con quell'aria tersa e i colori così chiari, mi sembra bella come il Giappone. L'acqua forma macchie verde smeraldo e blu intenso nel paesaggio, così come le conosciamo dalle xilografie. I tramonti di un pallido arancio, fanno apparire il terreno blu. Sole magnificamente giallo.
Interveniva evidentemente con Van Gogh un'interpretazione europea della "cromaticità" giapponese ed anche per il Nostro artista questo discorso si pone.
Un esperto giapponese di ukiyo-e, Fukuda Kazuhiko, si è così pronunciato:
Nelle xilografie di Ligustro non vi è la poetica amante delle tinte sobrie e del senso della natura alla maniera nipponica. I colori sono invece oltremodo limpidi, vivaci, brillanti: una vera sarabanda cromatica di luce e colore mediterranei. Le goffrature in rilievo, le sfoglie d'oro e d'argento non hanno i toni delle "stampe di broccato": hanno la beltà degli arazzi alla Gobelin, densi e sontuosi. Così l'incisione su legno, che ha varcato i confini (del Giappone), lo spazio ed il tempo, ha ricevuto ora, dalla mano di Ligustro, un soffio vitale artistico di Magnificenza barocca.
(...) Diverse per concezione dalle xilografie giapponesi, esse gettano un novello bagliore sulla moderna incisione e sono nel contempo il prodotto di un mirabile poeta.
Nella sua qualità di xilopoetografo, Ligustro correda le sue opere di versi che, creati e composti nella sua lingua, sono tradotti e trascritti sui suoi surimono. La loro ispirazione si concilia con le annotazioni di sentimenti e stati d'animo e le descrizioni bozzettistiche di aspetti di natura e di vita della poesia breve giapponese ed, al pari di questa, si presta ad integrarsi felicemente con l'immagine grafica.


Cassetta audio lato B


Oggi bellissima occasione di prendere visione del bellissimo album di Ligustro presso la Fondazione Novaro e oggi ho avuto l’occasione di vedere altre opere per cui ora ho una grande confusione e quindi volevo dare, per iniziare alcuni, flash; innanzi tutto l’album è una grande opera d’arte ed è stata presentata molto bene da due persone: un grande critico d’arte che si chiama Fukuda Kazuhiko che io non conosco personalmente e che fa una prefazione estremamente suggestiva e poi una presentazione tecnica molto accurata e molto bella da parte di Adriano Vantaggi che è qui presente tra noi che io gradirei che se lui volesse dire alcune parole ne sarei molto lieto e, se posso dire, che Adriano Vantaggi è stato uno tra i miei più grandi allievi.


Intervento, non previsto, del Prof. Adriano Vantaggi
Quello che potrei dire è che non condivido il parere del prof. Tamburello per quanto riguarda l’incisione cinese, mettiamola un po’ da parte, è vero che i Giapponesi hanno avuto la policromia dai cinesi però dal paragone i cinesi ne escono con le ossa rotte come in tante altre cose per cui sicuramente i giapponesi, per quanto riguarda la stampa policroma su matrici linee, sono i maestri in assoluto; che in Europa si sia fatta una xilografia validissima nei primi secoli dell’incisione, nessuno ne discute, però, dal punti di vista dei colori non ha mai dato granché per cui sicuramente il legame di Ligustro o Tarlo, che dir si voglia nel nuovo nome, va visto soprattutto con la stampa giapponese, fermo restando che è bene sottolinearlo, le immagini di Ligustro non sono mai una riproduzione di paesaggi giapponesi o di elementi giapponesi nel senso strettamente oleografico del termine dovete sicuramente vederli come un qualche cosa di strettamente originale. Ligustro molte volte dice che Imperia e i dintorni di Imperia sono come un novello Tōkaidō, sarà anche vero, però naturalmente bisogna vederli con occhi diversi; non mi pare valga la pena di aggiungere altro……per concludere questo intervento non previsto….sulla bravura del Maestro Ligustro credo che non ci siano problemi perché si conosce a colpo d’occhio, naturalmente forse quelli che possono essere i segreti, più segreti, scusate la ripetizione, questo è vero ma ad occhio nudo forse non sono facilmente ed immediatamente comprensibili, ma qui, permettete, è meglio che i segreti rimangano tali.
e Tamburello è rimasto molto soddisfatto dell’intervento non programmato e di rivedere il suo GRANDE allievo
Mi complimento per la presentazione tecnica dell’opera e mi complimento anche di quest’opera reca, proprio nelle prime pagine, con molta rigorosità i nomi di tutti i collaboratori; tutti coloro che a più mani hanno collaborato a quest’ a quest’arte e ci sono che dei calligrafi nostri che hanno i loro nomi segnati ed io intenderei questa operazione di Ligustro, non so quanto la si possa intendere, poi io amo molto la polemica e amo molto che mi si contraddica, ma io amerei molto pensare che Ligustro voglia fare una grossa operazione anche culturale cioè che abbia colto quello che è importante che la nostra pittura si arricchisca dell’elemento letteratura dell’elemento poesia ma soprattutto anche dell’elemento calligrafico non soltanto della scrittura orientale ma anche della nostra grafia cioè quello che molto importante in Ligustro è una riproposta in termini d’arte degli stili calligrafici e questo mi sembra un concetto estremamente importante.
Io sono convinto di una cosa, non sono un critico d’arte e quindi non sta a me dire quello che una critica d’arte occidentale vede oggi in un’opera come quella di Ligustro, non sta a me dirlo perché sono troppo influenzato dallo studio di culture orientali ed estremo orientali però io considero che la nuova arte del mondo dovrà nascere necessariamente da una sintesi di oriente ed occidente e io penso che Ligustro ci insegni questo e ci indichi in questo una grossa strada.
Al momento aprirei una breve parentesi di conclusione: al momento ci troviamo al Museo Chiossone ed io ho avuto la sensazione che in tutti questi anni abbiamo perso molto tempo non soltanto a Genova, ma in tutt’Italia; noi qui in Italia e qui a Genova abbiamo questo grande tesoro di questo museo che ha veramente delle collezioni uniche che solo i giapponesi riescono a vedere e a comprendere nella loro importanza e questo grazie a Edoardo Chiossone che andando in Giappone capì quella che era l’importanza dell’arte giapponese e l’importanza di creare veramente un’altra grande raccolta di arte giapponese, io un’ altra persona non altrettanto significativa forse per il mondo d’arte giapponese, ma per l’Italia fu l’ambasciatore in Giappone Giacinto Auriti negli anni 1940 1943 che anche lui ha raccolto delle bellissime opere d’arte giapponesi che ha portato in Italia e che attualmente sono in deposito presso il Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma. Tutto questo grande patrimonio culturale noi lo dovremmo mettere a massima valorizzazione, questo è lo sforzo che io approfitto dell’occasione - non c’è più l’assessore – ma io gradirei che queste parole possano essere trasmesse, veramente Genova ha un grande tesoro, un grande tesoro che dovrebbe essere studiato e portato avanti e debbo dire che Genova ha anche seri studiosi di queste materie come Vantaggi, tra i miei migliori allievi, nonostante il suo carattere giustamente forse duro con la comunità, forse.
Vorrei dire una cosa, Genova non ha solo collezioni di stampe ha anche collezioni di ceramica molto importanti, si aprirà tra poco una mostra di ceramiche e di porcellane a Sant’ Agostino e ci saranno anche dei pezzi del Chiossone, anche quella è una delle occasioni delle più grosse; operazioni culturali più importanti, ma Genova di molto importante ha anche delle collezioni private della città che debbono accedere a queste mostre, debbono entrare in queste mostre, Genova è tutta Genova che un ricco tesoro; prendiamo per ora, dato che questa serata è dedicata al nostro Ligustro, prendiamo un altro tesoro; io amo molto i giapponesi che annoverano anche degli umili artigiani come tesori nazionali viventi come ad esempio un artigiano che fabbrica bambole oppure fabbrica altro e noi abbiamo un tesoro nazionale vivente in Ligustro che ci può insegnare tante cose ed io direi che si dovrebbero organizzare dei corsi qui al Chiossone dei seminari o come si vogliono chiamare dove si insegnino le tecniche di stampa, non si insegnino, si illustrino: vedere una stampa è come vedere una ceramica, una porcellana, che sembra niente, sembra un lavoro da niente da quattro soldi: un artista dipinge, mette nel forno ed estrae la ceramica, mette sotto il torchio sono opere di una tale complessità che soltanto veramente un grande esperto può illuminare. Quando noi vediamo una stampa, non dovremmo mai vedere una stampa appesa al muro, ma dovremmo vedere tutti i legni e tutte le fasi di stampa che hanno portato al prodotto finale e allora a questo punto capiamo quando, in questo caso, il nostro Ligustro, dice in calce ad una stampa dice 29 colori, 71 colori, significa ad un certo momento il puntino dorato è stato messo rimettendo in stampa per la 70esima volta quello stesso foglio, ma completamente centrandolo nel registro per cui quando noi vediamo una stampa dobbiamo veramente metterci in ginocchio con grande umiltà così quando prendiamo una chicchera per berci un caffè; anche quello è un grande prodotto di enorme talento, ma al talento credo sia sempre di controparte la grande pazienza.


Prof. Adolfo Tamburello
Ordinario di Storia e Civiltà dell’Estremo Oriente
Facoltà di Lettere e Filosofia
Istituto Universitario Orientale di Napoli
Genova, 3 Maggio 1992 - Museo Chiossone


Con intervento del:
Prof. Adriano Vantaggi, nato a Genova nel 1949 dove vive e lavora. Ha vissuto in Giappone dal 1973 al 1975 con borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione. Si è laureato in lingue e civiltà orientali presso l’Istituto Orientale di Napoli e tra i migliori allievi del Prof. Adolfo Tamburello. E’ un “Yamatologo” molto quotato. Già consulente del Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova, autore di numerose pubblicazioni e traduzioni dal giapponese. Accanto ad altri studi, si dedica da anni allo studio della storia dell’antica xilografia giapponese. Collabora inoltre con associazioni culturali dedite all’insegnamento delle arti, della storia e della letteratura orientali


La corposa ed erudita relazione completa potrà essere consultata anche in formato audio o PDF presso la Sala Ligustro situata nella Biblioteca Civica Leonardo Lagorio di Imperia o potrà essere richiesta, via posta elettronica, ai gestori dell’archivio ligustro.italiaATgmail.com
La Sala Ligustro è fruibile pubblicamente, come punto di riferimento di eccellenza, per consultare tutto il materiale donato per approfondimenti personali ed eventi divulgativi.





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