Presentazione opere di Ligustro
presso il Museo Chiossone
Pregiatissimo
Libro Palloncini donato al Museo di Arte Orientale Edoardo Chiossone
Cassetta
audio lato A e relazione cartacea
Buona
giornata, il problema che le opere del nostro Berio
in arte Ligustro,
ma ancora per poco Ligustro,
perché cambierà nome, quest’opera d’arte sua l’ho conosciuta
soltanto negli ultimi tempi. Oggi non dovrei essere io qui, ma
dovrebbe esserci un grande estimatore dell’opera del nostro
Ligustro
che risponde al nome di Jack
Hillier
che è un inglese, purtroppo trattenuto in Inghilterra, che ha
scritto proprio a Ligustro
una
bellissima lettera in cui diceva che
per
ragioni di salute della moglie era impossibilitato a venire e che
esprimeva molti auguri per questa sua vernissage
ed è un uomo che ha avuto parole di grande stima nei riguardi di
Ligustro,
di grande stima e di grande apprezzamento sul quale però ritorneremo
alla fine del discorso; la lettera comunque è agli atti; è una
bellissima lettera molto affettuosa.
Ho
aderito molto volentieri all’invito che il nostro Giovanni Berio in
arte Ligustro,
mi ha caldamente rivolto di partecipare oggi alla presentazione di
una delle sue realizzazioni più recenti non certo perché la mia
insicura competenza in questo genere d'arte possa illuminare gli
intervenuti sui valori tecnici ed artistici del nostro impareggiabile
Maestro,
ma per cercare di rilevare, insieme noi tutti, il significato che
possiamo cogliere, annettere all’istanza che egli avverte
profondamente di aderire nella sua opera al linguaggio tecnico,
poetico, estetico del mondo artistico e letterario giapponese.
Sotto
questo aspetto, Ligustro
non è figura eccentrica ed isolata di artista europeo o, più in
genere, occidentale. Il richiamo, la suggestione, il magistero
esercitati dalle arti giapponesi sulle arti dell'Occidente europeo
sono un fenomeno che ha ormai superato di gran lunga il secolo di
vita. E non parliamo di quando la ceramica o le prime porcellane
giapponesi nel XVII secolo cominciarono ad affluire in Europa ed
ebbero tante imitazioni al punto che quando poi si riinserirono nei
traffici le ceramiche cinesi queste dovettero adottare gli espedienti
giapponesi e anche le prove cromatiche giapponesi perché le
porcellane giapponesi andavano di più. Il problema che è anche alla
base dell’arte di Ligustro
è
anche il problema della sensibilità cromatica e se c’è oggi da
parte di qualche nostro artista questo richiamo verso l’arte
giapponese è anche perché ci accorgiamo consciamente o
inconsciamente che il Giappone ha fatto all’altro capo del mondo
delle prove di cromatismo, di sperimentazione cromatica che, direi,
dall’altro capo del mondo abbiamo fatto soltanto noi; diciamo
quindi che ci riinseriamo in un certo senso, in un’antica
tradizione proprio di ricerca di valori cromatici. Ma la vera
scoperta del Giappone è avvenuta nel secolo scorso e quando avvenne
questa riscoperta del Giappone poco dopo la metà del l'Ottocento,
quando i vari Stati d'Europa e d'America stipularono con i paesi i
primi trattati internazionali, il Giappone fu una rivelazione in
chiave romantica di tutto un genio
così detto genio
nipponico.
Furono ben pochi gli aspetti della cultura del lontano arcipelago che
non attraessero: in campo filosofico-estetico, la concezione eroica
della vita e della morte; in campo etico, i valori dell’attaccamento
al dovere, della lealtà, del sacrificio, della disciplina interiore.
Grande risonanza ebbero le arti marziali giapponesi ed oggi sono e
restano familiari anche alle nostre più giovani generazioni pratiche
come il judo, il kendo, l’aikido. Piacquero molti aspetti della
cultura materiale nipponica connessi col suo mondo guerriero ed il
suo spirito marziale: dalle armature con le loro terrifiche maschere,
alle alabarde, alle spade fino ad oggetti come gli tsuba,
cioè le arabescate guardie delle sciabole. Tutto questo lo voglio
ricordare perché ci troviamo nel Museo
Chiossone
che è veramente uno grandi tesori che ha Genova e non solo per
questi aspetti di arte giapponese ma per aspetti veramente unici che
rivelano anche quella che è stata grande personalità di colui che
ha collezionato queste raccolte ossia Edoardo Chiossone di cui oggi
mi sono molto compiaciuto nel visitate l’EXPO 92 che i giapponesi
hanno dedicato nel loro padiglione sulla loro nave tutta una sezione
a Edoardo Chiossone e diciamo così che Edoardo Chiossone è una
delle figure di GRANDI UOMINI uomini in questo caso dobbiamo dire di
GRANDI uomini Liguri che sono andati alla scoperta del mondo alla
valorizzazione del mondo e che hanno anche saputo cogliere anzitempo,
rispetto ad altri, quelle che erano le grandezze di un mondo ancora
agli antipodi e lui, da incisore, scoprì la grandezza dell’incisione
giapponese e lui chiamato come GRANDE esperto di arte dell’incisione
moderna andò in Giappone e si chinò dinnanzi all’arte
dell’incisione giapponese scoprendone tutti i grandi valori che, a
distanza di un secolo, ha scoperto il nostro Ligustro.
Piacquero
anche molti altri aspetti delle arti e della cultura del Giappone. In
molte case entrarono kimono, paraventi, dipinti, stampe, ventagli,
ombrelli, spilloni e pettini giapponesi; si moltiplicarono i servizi
di ceramiche e lacche; si diffusero le collezioni dei netsuke,
i minuscoli ciondoli scolpiti. Dominò un clima di japonaiserie o di
japonisme: il teatro lirico ne avrebbe avuto un lascito con Madame
Butterfly. Presto doveva rivelarsi una scoperta anche la cultura
letteraria giapponese, la poesia e la narrativa e solo poco più
tardi il teatro. Nella letteratura si sarebbero registrati influssi
seri, sul simbolismo ed altre correnti, da Baudelaire a Claudel ad
Ezra Pound; dura a morire nel nostro secolo sarebbe stata poi tutta
una narrativa di istanza esotica, che prendeva ispirazione o si
poneva come rifacimento o ricostruzione di opere, temi o ambienti
giapponesi: da Pierre Loti a Lafcadio Hearn, al nostro/vostro
Bartolomeo Balbi e persino ad Emilio Salgari. Soprattutto incisiva fu
l'influenza sulle arti figurative.
La
grande stagione dell'impressionismo francese, ma anche del
preraffaellismo inglese, fiorì sulla presa magnetica esercitata
dalla calligrafia e dalla xilografia giapponese. Le stampe di
Utamaro, di Hiroshige, di Hokusai hanno avuto forse più ammiratori
in Europa che nello stesso Giappone: dopo le "Trentasei vedute
del monte Fuji" di Hokusai, si ebbero le "Trentasei vedute
della Torre Eiffel" di Henry Rivière. All'epoca l'arte
pittorica europea si stava profondamente rinnovando per generi,
tecniche stili. Il monaco buddhista zen, che avrebbe legato la sua
fama ad una pittura "bozzettistica" per lo più in bianco e
nero, Gibon Sengai, suggerì i nuovi mezzi che potevano offrire la
calligrafia l'inchiostro di china: al fascino di una nuova arte del
disegno cedette Toulouse Lautrec, mentre lui stesso, con altri dei
maggiori artisti europei, trovava nelle stampe giapponesi una serie
inesauribile di suggerimenti: la fantasia dei primi piani, una più
armoniosa o audace apposizione di colori, la distribuzione di luci e
ombre, l'osservazione precisa, eppure indistinta, sfumata, della
natura. Gli artisti giapponesi si erano indissolubilmente legati al
ritmo della linea, al contorno, alla forza espressiva del tocco, alla
luminosa semplicità dei colori, esaltando la suggestione simbolica.
Libera da rigidi legami prospettici e di chiaroscuro, la pittura
giapponese appariva espressione di emozioni; i suoi elementi
suggerivano più che rivelare direttamente, evocavano immagini
delicate e poetiche e di gran forza e vigore, dipinte come nel vuoto,
che raggiungevano effetti di ricercata piattezza; i colori, scelti
indipendentemente da legami naturalistici, erano abbinati talora più
per ammirevole contrasto che per armonica combinazione. Walter Crane,
tra i preraffaelliti inglesi uno dei più importanti conoscitori
delle arti giapponesi, si pronunciava:
ecco finalmente un'arte popolare in cui dominano tradizione e maestria e la cui espressione è di un'avvincente varietà e forza descrittiva...
Emile Zola sarebbe stato uno dei primi a registrare l'influenza della pittura giapponese su quella occidentale:
E' certo che la nostra cupa pittura, la nostra pittura a olio, ne fu molto influenzata e ne proseguì lo studio con riguardo a questi orizzonti trasparenti, a questa bella e dinamica colorazione dei pittori giapponesi...
Però quella che aveva rinnovato o stava rinnovando la pittura europea non era affatto la "pittura" giapponese, ma un genere che all'epoca era certo considerato assai più vile: la stampa. Molte stampe giapponesi avevano raggiunto l'Europa come semplice carta per avvolgere e imballare mercanzie che erano considerate ben più preziose: le porcellane, le lunghe pipette e spesso altre cianfrusaglie: Monet aveva scovato i capolavori delle stampe di Hiroshige e Hokusai presso una tabaccaia. A quei giorni, in Giappone, la grande stampa d'arte non aveva più considerazione di quanto non ne abbia oggi da noi il foglio di un vecchio giornale o di un rotocalco. Era infatti l'espressione di un'arte esplicitamente legata all'effimero, al giornaliero, al mondano, profano e caduco: si chiamava l'ukiyo, il "mondo fluttuante". La pittura, con le stampe che ne derivavano, era detta ukiyo-e; la narrativa ukiyo-zoshi: arti di consumo, piuttosto che di celebrazione o di consegna alla posterità. L'Europa, ancora paludata nelle sue arti, ricevette una ventata innovativa, uno spirito di vitalità, e all'ukiyo-e dovevano rimanere indissolubilmente legati molti nomi di grandi pittori ed artisti europei: ne ricordiamo solo alcuni, oltre il citato Toulouse Lautrec: Rossetti, Manet, Degas, van Gogh, Gauguin, Pissarro, che trovarono nelle opere dell'ukiyo-e, una nuova visione formale, una diversa concezione della prospettiva e soprattutto una diversa combinazione e sintesi di disegno e colore. Altre influenze giapponesi ricorsero sui modelli figurativi, sui repertori di animali e piante e motivi ornamentali vari. La pittura e l'incisione europee non monopolizzarono comunque le influenze giapponesi. Queste si esplicarono anche attraverso tecniche e stili su altre arti, per esempio - col Liberty e, più in generale, con l'Art Nouveau - sulla ceramica, il vetro, i metalli. Inoltre non tutte le influenze giapponesi ebbero rilevanza solo nei decenni a cavallo fra Otto e Novecento. Anzi, in quei decenni molte cose furono ignorate o restarono incomprese. Gli stessi Giapponesi, pur negli anni in cui il loro paese suscitava compiaciuta popolarità, rimproveravano l'Occidente che le loro arti, la loro cultura non fossero pienamente conosciute e apprezzate nei loro valori, ma per lo più solo nelle loro espressioni minori: per l'appunto, le stampe, le porcellane, i piccoli oggetti da usarsi come soprammobili. Si era andata sviluppando l'idea che il Giappone avesse prodotto una "cultura del piccolo": un'idea che tra l'altro avrebbe messo radici.
Emile Zola sarebbe stato uno dei primi a registrare l'influenza della pittura giapponese su quella occidentale:
E' certo che la nostra cupa pittura, la nostra pittura a olio, ne fu molto influenzata e ne proseguì lo studio con riguardo a questi orizzonti trasparenti, a questa bella e dinamica colorazione dei pittori giapponesi...
Però quella che aveva rinnovato o stava rinnovando la pittura europea non era affatto la "pittura" giapponese, ma un genere che all'epoca era certo considerato assai più vile: la stampa. Molte stampe giapponesi avevano raggiunto l'Europa come semplice carta per avvolgere e imballare mercanzie che erano considerate ben più preziose: le porcellane, le lunghe pipette e spesso altre cianfrusaglie: Monet aveva scovato i capolavori delle stampe di Hiroshige e Hokusai presso una tabaccaia. A quei giorni, in Giappone, la grande stampa d'arte non aveva più considerazione di quanto non ne abbia oggi da noi il foglio di un vecchio giornale o di un rotocalco. Era infatti l'espressione di un'arte esplicitamente legata all'effimero, al giornaliero, al mondano, profano e caduco: si chiamava l'ukiyo, il "mondo fluttuante". La pittura, con le stampe che ne derivavano, era detta ukiyo-e; la narrativa ukiyo-zoshi: arti di consumo, piuttosto che di celebrazione o di consegna alla posterità. L'Europa, ancora paludata nelle sue arti, ricevette una ventata innovativa, uno spirito di vitalità, e all'ukiyo-e dovevano rimanere indissolubilmente legati molti nomi di grandi pittori ed artisti europei: ne ricordiamo solo alcuni, oltre il citato Toulouse Lautrec: Rossetti, Manet, Degas, van Gogh, Gauguin, Pissarro, che trovarono nelle opere dell'ukiyo-e, una nuova visione formale, una diversa concezione della prospettiva e soprattutto una diversa combinazione e sintesi di disegno e colore. Altre influenze giapponesi ricorsero sui modelli figurativi, sui repertori di animali e piante e motivi ornamentali vari. La pittura e l'incisione europee non monopolizzarono comunque le influenze giapponesi. Queste si esplicarono anche attraverso tecniche e stili su altre arti, per esempio - col Liberty e, più in generale, con l'Art Nouveau - sulla ceramica, il vetro, i metalli. Inoltre non tutte le influenze giapponesi ebbero rilevanza solo nei decenni a cavallo fra Otto e Novecento. Anzi, in quei decenni molte cose furono ignorate o restarono incomprese. Gli stessi Giapponesi, pur negli anni in cui il loro paese suscitava compiaciuta popolarità, rimproveravano l'Occidente che le loro arti, la loro cultura non fossero pienamente conosciute e apprezzate nei loro valori, ma per lo più solo nelle loro espressioni minori: per l'appunto, le stampe, le porcellane, i piccoli oggetti da usarsi come soprammobili. Si era andata sviluppando l'idea che il Giappone avesse prodotto una "cultura del piccolo": un'idea che tra l'altro avrebbe messo radici.
Oggi sappiamo
che il Giappone non esprimeva soltanto una cultura del piccolo e
sappiamo anche che anche oggi stiamo riscoprendo tante cose della
tradizione giapponese; tutta l’architettura giapponese ma
soprattutto abbiamo scoperto in questi ultimi anni tutti noi e
diciamo a livello borghese a livello alto borghese e anche a livello
medio borghese anzi addirittura a livello popolare certe cose stiamo
scoprendo arti come l’ikebana, il bonsai, la cerimonia del tè,
l’origami per i bambini e oggi come oggi incominciano ad abbondare
le gamme le cromatiche di design giapponesi.
Ancora
nel 1905, un autorevole e grande studioso come Basil Hall Chamberlain
scriveva:
Il
genio giapponese tocca la perfezione nelle piccole cose. Nessun'altra
nazione ha imparato come fare così bene di una coppa, di un vassoio,
anche di un bricco un oggetto d'arte, come trasformare un piccolo
pezzo d'avorio in un microcosmo di strano sapore, come esprimere un
pensiero effimero in una mezza dozzina di colpi di pennello. Il
massiccio, lo spazioso, l'imponente sono meno congeniali al loro
temperamento. Per questo raggiungono meno successo nell'architettura
rispetto alle altre arti.
Una
concezione evidentemente basata sul monumentalismo marmorea di una
tradizione europea che non era stata ancora superata. La, scoperta
dei valori spaziali e modulari dell'architettura giapponese, così
pure della sua ambientazione con la natura ed il paesaggio, era
ancora di là da venire. Ma anche questa scoperta non avrebbe tardato
molto, e l'addentrarsi del Novecento sarebbe stato un progressivo
riconoscimento dei valori moderni dell'architettura giapponese.
Bisognava solo attendere che l'Occidente passasse dall'architettura
in pietra o mattoni a quella in cemento armato o in acciaio -
abbandonando la vecchia tradizione edilizia basata sul muro portante
in favore di un'architettura basata, come strutture portanti, su
pilastri e travi - perché comprendesse l'importanza delle soluzioni
che il Giappone aveva già dato alla propria architettura avviandola
precocemente verso i criteri dei moduli strutturali, del
funzionalismo e del prefabbricato. Oggi l'architettura giapponese può
essere ritrovata in edizioni finanche imprevedibili ed opinabili un
po' dappertutto e su tutti i continenti, così come riconosciamo un
po' ovunque nelle loro ispirazioni giapponesi certi giardini, certi
arredi con mobili a muro, pannelli, tramezzi. Che dire poi del
fascino sottile che esercitano arti come l'ikebana, il bonsai, la
"cerimonia del tè", l'origami? In altre arti, quelle
cosiddette applicate, ma anche nella moda, nella pubblicità,
abbondano le gamme cromatiche ed il design giapponesi. Sul piano
della speculazione filosofica, il pensiero giapponese, specialmente
con lo zen, annovera i suoi appassionati cultori; nella letteratura,
la poesia breve giapponese, quella dell'haiku, esercita una forte
carica di suggestione.
La
personalità artistica di Giovanni Berio si colloca dunque tra quelle
di una fitta schiera di estimatori del Giappone: letterati, artisti,
architetti, designers, intellettuali, per i quali il Paese del Sol
Levante è stato ed è fonte di ispirazioni. Fra gli Italiani, resta
ancora uno dei pochi. Egli ama definirsi uno "xilopoetografo"
e già questo presentarsi come tale ne rivela il complesso approccio
al Giappone, un approccio multiplo: in primo luogo da artista e da
letterato o, per vuole, da poeta.
Nella
nostra tradizione non s'è consacrata la simbiosi dell'arte e delle
lettere che s'è avuta nel mondo estremorientale, dalla Cina al
Giappone. Tutti sappiamo che il Giappone ereditò dalla Cina molte
tecniche ed arti. La Cina aveva formulato un'estetica della pittura
strettamente congiunta con un'estetica filosofico-letteraria ed una
estetica poetica. Il nesso fra l'una e l'altra era dato dalla
calligrafia. Sommo pittore era un sommo calligrafo ed al contempo un
sommo letterato. Ma i grandi pittori-letterati o letterati-pittori
della Cina erano personalità artistiche di uno status sociale tanto
riservato da ricusare il professionismo artistico. Le loro opere di
"puro" diletto escludevano interessi di mestiere. Fu questa
una ragione per cui un'arte antica e originale della Cina, come
appunto quella della xilografia, la stampa con matrici fatte di
tavole di legno incise, non ebbe diritto di cittadinanza come arte
liberale, rimanendo per lo più al rango di un artigianato anonimo
solo "al servizio" dell'arte con l'A maiuscola. La stampa
cinese, al pari dell'arte dell'illustrazione che la precedette, ebbe
egualmente grande perfezionamento e guidò l'evoluzione dell'editoria
in tutto l'Estremo Oriente, realizzando i progressi che dovevano
portare dal solo bianco e nero alle piene policromie per tirature di
libri, album, fogli singoli.
In
Giappone, le arti, tutte le arti, trovarono un ambiente diverso. La
manualità del più umile artigianato non offendeva né il nobile, né
l'artista, né l'uomo di cultura, così come non offendeva
l'aspettativa di potersi ricavare un onorevole utile da un lavoro che
fosse frutto di personale talento. Vi furono imperatori che
forgiarono spade o composero calligrafie che mettevano regolarmente
in vendita; vi furono illustri daimyō (signori) che, non solo
protessero, ma coltivarono arti anche umili. L'arte
dell'illustrazione raccolse cultori d'ogni ceto sociale e fu un'arte
nobile come popolare, al pari di come poi fu poi quella della stampa,
che doveva anch'essa raccogliere artisti d'ogni estrazione sociale.
Si ebbero dunque vari generi di illustrazione e di stampa.
Ora,
un genere che divenne molto di moda dalla seconda metà del
Settecento e si ricollegava alla tradizione delle stampe cinesi di
"nuovo anno" fu quella che i giapponesi chiamarono dei
surimono, letteralmente "stampati", "stampe",
fogli con grafica, pittura e testi scritti destinati ad esprimere
auguri o rallegramenti, rivolgere inviti, presentare creazioni
artistiche o poetiche: insomma, solo in parte un equivalente dei
nostri cartoncini augurali, ma, a differenza di questi, di solito di
elevato valore artistico. Erano artisti esimi, quando non addirittura
illustri, che li componevano; erano poeti di buona stoffa, quando non
di fama o di grido, che ne dettavano le odi, se non erano i poeti
stessi a concepirli e a comporli. Una presentazione di surimono in
Italia ha avuto luogo quasi dieci anni fa a Torino su patrocinio del
CeSMEO, il Centro Piemontese di Studi sul Medio ed Estremo Oriente,
che ne patrocinò un catalogo a cura di Helena Markus (Surimono -
Stampe augurali nel Giappone del '700 e '800, Firenze, Mario Luca
Giusti, 1983).
Giovanni
Berio sembra abbia specialmente di questi surimono sentito il
fascino. Da un lato, forse perché erano state le più preziose
produzioni in cui si era cimentata, anche fuori del circuito
commerciale, la stampa d'arte giapponese che padroneggiava la piena
policromia del nishiki-e, la cosiddetta "pittura broccato",
le cui tecniche erano, nel secondo Settecento, da poco sbarcate dalla
Cina e perfezionate in Giappone; dall'altro, perché i surimono
rappresentavano qualcosa di più sul piano artistico della stampa e
della pittura del "mondo fluttuante", "effimero",
"della transitorietà", legata al nome dell'ukiyo-e. Perciò
per rendere merito al nostro Ligustro, che la sua ispirazione non è
anche tecnicamente soltanto nel campo della stampa come, penso, sia
stato forse detto, nella stampa dell’ukiyo-e, ma più in generale
di tutto il discorso di stampa, ed io direi di stampa estremo
orientale e oggi non parlerei più di stampa giapponese ma anche di
stampa cinese. Ma questo io l’ho potuto vedere ed apprezzare
soltanto oggi; ieri quando ho scritto la relazione molte cose non le
sapevo; diciamo che vorrei essere come voi una persona in crescita
nella conoscenza del nostro Ligustro.
A
differenza di quanto generalmente si pensa, l'ukiyo-e non monopolizzò
la stampa d'arte giapponese dell'epoca Tokugawa (1600-1867), così
come non monopolizzò la pittura dell'intero arco di tempo, mentre
molta altra produzione pittorica fu tradotta in stampa d'arte. Un
esempio, per noi in questa sede pertinente, è rappresentato dalla
cosiddetta "pittura meridionale" (nanga) o "pittura
dei letterati" (bunjinga) che, accasatasi all'epoca dalla Cina e
specialmente dai suoi centri meridionali, fece molta presa sugli
artisti e letterati che non si identificavano nel mondo dell'ukiyo.
Molte personalità erano di pittori-poeti o viceversa, quando non
anche di fini calligrafi, che integravano di versi o saggi
calligrafici le loro opere pittoriche: ne nacque un genere specifico,
uno dei tanti, l'haiga, una combinazione di poesia e pittura, nella
quale i brevi haiku, di soli tre versi, erano scritti su un lato del
foglio, spesso a commento o illustrazione del tema del dipinto, il
quale usciva così anche arricchito del saggio calligrafico. In un
ambito più circoscritto figurarono i cosiddetti zenga, cioè i
dipinti che i monaci zen dei secoli XVII-XIX corredavano o
integravano di versi o brevi iscrizioni.
I
surimono testimoniarono nella stampa dei loro fogli il discorso
congiunto di "pittura-letteratura", "disegno-poesia",
"grafica-calligrafia" che veniva proseguito nell'eredità
di un'ormai antica tradizione. Spesso l'opera richiedeva o nasceva da
una collaborazione - diciamo - "a più mani": l'artista per
il disegno o il dipinto; il poeta per le odi di sua creazione;
l'incisore e lo stampatore per l'intaglio delle matrici e la tiratura
dei fogli. Però non mancavano eclettiche personalità di
pittori-poeti-incisori che concepivano e completavano da soli le loro
opere in tutte le fasi che esse comportavano.
Giovanni
Berio ha la tempra che avevano questi ultimi: per questo si
definisce, e lo possiamo riconoscere, come “xilopoetografo".
Poi vedremo che anche lui si avvale della collaborazione di altri. In
primo luogo, padroneggia magistralmente l'incisione e l'intaglio del
legno, nonché le tecniche d'inchiostrazione, di colorazione e di
stampa ad un grado veramente sofisticato di raffinatezza. Le sue
opere ne danno un saggio tecnico eloquente. Se molti artisti
occidentali di scuola preraffaellita ed impressionistica, non
imitarono espressamente le tecniche dell'ukiyo-e, ma ne ebbero solo
influenze per il disegno, lo stile e il colore, non mancarono artisti
che si cimentarono nelle stesse tecniche giapponesi: citiamo Henri
Rivière, John Platt, Félix Vallotton. Ora, uno dei più autorevoli
esperti di xilografia giapponese, Jack Hillier, ha dichiarato che
nessuno si è avvicinato alla maestria con cui il nostro Ligustro
padroneggia, sono parole di Jack Hillier, le “complessità delle
tecniche d'intaglio e di stampa". Nelle composizioni v'è poi
eleganza formale e compositiva, come potete vedere tutti, ora con una
caratteristica disposizione diagonale delle immagini; ora con un
ritmo e movimento di linee sottili, fluide e leggere che danno vita
al disegno; ora con la purezza e la brillantezza dei colori,
accostati con armonia ed eleganza su un'ampia scala cromatica.
Ci
piace richiamare che uno dei grandi artisti che apprezzò i colori
giapponesi, li usò rendendoli quasi "ornamentali", donò
loro tonalità dorate, entusiasmandosi per la brillantezza ed il
chiarore della luce, fu alla fine del secolo scorso Vincent Van Gogh.
Questi scriveva del paesaggio di Arles all'amico Emile Bernard:
...la
regione, con quell'aria tersa e i colori così chiari, mi sembra
bella come il Giappone. L'acqua forma macchie verde smeraldo e blu
intenso nel paesaggio, così come le conosciamo dalle xilografie. I
tramonti di un pallido arancio, fanno apparire il terreno blu. Sole
magnificamente giallo.
Interveniva
evidentemente con Van Gogh un'interpretazione europea della
"cromaticità" giapponese ed anche per il Nostro artista
questo discorso si pone.
Un
esperto giapponese di ukiyo-e, Fukuda Kazuhiko, si è così
pronunciato:
Nelle
xilografie di Ligustro non vi è la poetica amante delle tinte sobrie
e del senso della natura alla maniera nipponica. I colori sono invece
oltremodo limpidi, vivaci, brillanti: una vera sarabanda cromatica di
luce e colore mediterranei. Le goffrature in rilievo, le sfoglie
d'oro e d'argento non hanno i toni delle "stampe di broccato":
hanno la beltà degli arazzi alla Gobelin, densi e sontuosi. Così
l'incisione su legno, che ha varcato i confini (del Giappone), lo
spazio ed il tempo, ha ricevuto ora, dalla mano di Ligustro, un
soffio vitale artistico di Magnificenza barocca.
(...)
Diverse per concezione dalle xilografie giapponesi, esse gettano un
novello bagliore sulla moderna incisione e sono nel contempo il
prodotto di un mirabile poeta.
Nella
sua qualità di xilopoetografo, Ligustro correda le sue opere di
versi che, creati e composti nella sua lingua, sono tradotti e
trascritti sui suoi surimono. La loro ispirazione si concilia con le
annotazioni di sentimenti e stati d'animo e le descrizioni
bozzettistiche di aspetti di natura e di vita della poesia breve
giapponese ed, al pari di questa, si presta ad integrarsi felicemente
con l'immagine grafica.
Cassetta
audio lato B
Oggi
bellissima occasione di prendere visione del bellissimo album di
Ligustro
presso la Fondazione Novaro e oggi ho avuto l’occasione di vedere
altre opere per cui ora ho una grande confusione e quindi volevo
dare, per iniziare alcuni, flash; innanzi tutto l’album è una
grande opera d’arte ed è stata presentata molto bene da due
persone: un grande critico d’arte che si chiama Fukuda Kazuhiko che
io non conosco personalmente e che fa una prefazione estremamente
suggestiva e poi una presentazione tecnica molto accurata e molto
bella da parte di Adriano Vantaggi che è qui presente tra noi che io
gradirei che se lui volesse dire alcune parole ne sarei molto lieto
e, se posso dire, che Adriano Vantaggi è stato uno tra i miei più
grandi allievi.
Intervento,
non previsto, del Prof. Adriano Vantaggi
Quello
che potrei dire è che non condivido il parere del prof. Tamburello
per quanto riguarda l’incisione cinese, mettiamola un po’ da
parte, è vero che i Giapponesi hanno avuto la policromia dai cinesi
però dal paragone i cinesi ne escono con le ossa rotte come in tante
altre cose per cui sicuramente i giapponesi, per quanto riguarda la
stampa policroma su matrici linee, sono i maestri in assoluto; che in
Europa si sia fatta una xilografia validissima nei primi secoli
dell’incisione, nessuno ne discute, però, dal punti di vista dei
colori non ha mai dato granché per cui sicuramente il legame di
Ligustro
o
Tarlo,
che dir si voglia nel nuovo nome, va visto soprattutto con la stampa
giapponese, fermo restando che è bene sottolinearlo, le immagini di
Ligustro
non sono mai una riproduzione di paesaggi giapponesi o di elementi
giapponesi nel senso strettamente oleografico del termine dovete
sicuramente vederli come un qualche cosa di strettamente originale.
Ligustro
molte volte dice che Imperia e i dintorni di Imperia sono come un
novello Tōkaidō, sarà anche vero, però naturalmente bisogna
vederli con occhi diversi; non mi pare valga la pena di aggiungere
altro……per concludere questo intervento non previsto….sulla
bravura del Maestro
Ligustro
credo che non ci siano problemi perché si conosce a colpo d’occhio,
naturalmente forse quelli che possono essere i segreti, più segreti,
scusate la ripetizione, questo è vero ma ad occhio nudo forse non
sono facilmente ed immediatamente comprensibili, ma qui, permettete,
è meglio che i segreti rimangano tali.
e
Tamburello è rimasto molto soddisfatto dell’intervento non
programmato e di rivedere il suo GRANDE allievo
Mi
complimento per la presentazione tecnica dell’opera e mi
complimento anche di quest’opera reca, proprio nelle prime pagine,
con molta rigorosità i nomi di tutti i collaboratori; tutti coloro
che a più mani hanno collaborato a quest’ a quest’arte e ci sono
che dei calligrafi nostri che hanno i loro nomi segnati ed io
intenderei questa operazione di Ligustro,
non so quanto la si possa intendere, poi io amo molto la polemica e
amo molto che mi si contraddica, ma io amerei molto pensare che
Ligustro
voglia fare una grossa operazione anche culturale cioè che abbia
colto quello che è importante che la nostra pittura si arricchisca
dell’elemento letteratura dell’elemento poesia ma soprattutto
anche dell’elemento calligrafico non soltanto della scrittura
orientale ma anche della nostra grafia cioè quello che molto
importante in Ligustro
è una riproposta in termini d’arte degli stili calligrafici e
questo mi sembra un concetto estremamente importante.
Io
sono convinto di una cosa, non sono un critico d’arte e quindi non
sta a me dire quello che una critica d’arte occidentale vede oggi
in un’opera come quella di Ligustro,
non sta a me dirlo perché sono troppo influenzato dallo studio di
culture orientali ed estremo orientali però io considero che la
nuova arte del mondo dovrà nascere necessariamente da una sintesi di
oriente ed occidente e io penso che Ligustro
ci insegni questo e ci indichi in questo una grossa strada.
Al
momento aprirei una breve parentesi di conclusione: al momento ci
troviamo al Museo Chiossone ed io ho avuto la sensazione che in tutti
questi anni abbiamo perso molto tempo non soltanto a Genova, ma in
tutt’Italia; noi qui in Italia e qui a Genova abbiamo questo grande
tesoro di questo museo che ha veramente delle collezioni uniche che
solo i giapponesi riescono a vedere e a comprendere nella loro
importanza e questo grazie a Edoardo Chiossone che andando in
Giappone capì quella che era l’importanza dell’arte giapponese e
l’importanza di creare veramente un’altra grande raccolta di arte
giapponese, io un’ altra persona non altrettanto significativa
forse per il mondo d’arte giapponese, ma per l’Italia fu
l’ambasciatore in Giappone Giacinto Auriti negli anni 1940 1943 che
anche lui ha raccolto delle bellissime opere d’arte giapponesi che
ha portato in Italia e che attualmente sono in deposito presso il
Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma. Tutto questo grande
patrimonio culturale noi lo dovremmo mettere a massima
valorizzazione, questo è lo sforzo che io approfitto dell’occasione
- non c’è più l’assessore – ma io gradirei che queste parole
possano essere trasmesse, veramente Genova ha un grande tesoro, un
grande tesoro che dovrebbe essere studiato e portato avanti e debbo
dire che Genova ha anche seri studiosi di queste materie come
Vantaggi, tra i miei migliori allievi, nonostante il suo carattere
giustamente forse duro con la comunità, forse.
Vorrei
dire una cosa, Genova non ha solo collezioni di stampe ha anche
collezioni di ceramica molto importanti, si aprirà tra poco una
mostra di ceramiche e di porcellane a Sant’ Agostino e ci saranno
anche dei pezzi del Chiossone,
anche
quella è una delle occasioni delle più grosse; operazioni culturali
più importanti, ma Genova di molto importante ha anche delle
collezioni private della città che debbono accedere a queste mostre,
debbono entrare in queste mostre, Genova è tutta Genova che un ricco
tesoro; prendiamo per ora, dato che questa serata è dedicata al
nostro Ligustro,
prendiamo un altro tesoro; io amo molto i giapponesi che annoverano
anche degli umili artigiani come tesori nazionali viventi come ad
esempio un artigiano che fabbrica bambole oppure fabbrica altro
e noi abbiamo un tesoro nazionale vivente in
Ligustro
che
ci può insegnare tante cose ed io direi che si dovrebbero
organizzare dei corsi qui al Chiossone dei seminari o come si
vogliono chiamare dove si insegnino le tecniche di stampa,
non
si insegnino, si illustrino: vedere una stampa
è come vedere una ceramica, una porcellana, che sembra niente,
sembra un lavoro da niente da quattro soldi: un artista dipinge,
mette nel forno ed estrae la ceramica, mette sotto il torchio
sono
opere di una tale complessità che soltanto veramente un grande
esperto può illuminare. Quando noi vediamo una stampa, non dovremmo
mai vedere una stampa appesa al muro, ma dovremmo vedere tutti i
legni e tutte le fasi di stampa che hanno portato al prodotto finale
e allora a questo punto capiamo quando, in questo caso, il nostro
Ligustro, dice in calce ad una stampa dice 29 colori, 71 colori,
significa ad un certo momento il puntino dorato è stato messo
rimettendo in stampa per la 70esima volta quello stesso foglio, ma
completamente centrandolo nel registro per cui quando noi vediamo una
stampa dobbiamo veramente metterci in ginocchio con grande umiltà
così quando prendiamo una chicchera per berci un caffè; anche
quello è un grande prodotto di enorme talento, ma al talento credo
sia sempre di controparte la grande pazienza.
Prof.
Adolfo Tamburello
Ordinario
di Storia e Civiltà dell’Estremo Oriente
Facoltà
di Lettere e Filosofia
Istituto
Universitario Orientale di Napoli
Genova,
3 Maggio 1992 - Museo Chiossone
Con
intervento del:
Prof.
Adriano Vantaggi, nato a Genova nel 1949 dove vive e lavora. Ha
vissuto in Giappone dal 1973 al 1975 con borsa di studio del
Ministero della Pubblica Istruzione. Si è laureato in lingue e
civiltà orientali presso l’Istituto Orientale di Napoli e tra i
migliori allievi del Prof. Adolfo Tamburello. E’ un “Yamatologo”
molto quotato. Già consulente del Museo d’Arte Orientale Edoardo
Chiossone di Genova, autore di numerose pubblicazioni e traduzioni
dal giapponese. Accanto ad altri studi, si dedica da anni allo studio
della storia dell’antica xilografia giapponese. Collabora inoltre
con associazioni culturali dedite all’insegnamento delle arti,
della storia e della letteratura orientali
La
corposa ed erudita relazione completa potrà essere consultata anche
in formato audio o PDF presso la Sala Ligustro situata nella
Biblioteca Civica Leonardo Lagorio di Imperia o potrà essere
richiesta, via posta elettronica, ai gestori dell’archivio
ligustro.italiaATgmail.com
La
Sala Ligustro è fruibile pubblicamente, come punto di riferimento di
eccellenza, per consultare tutto il materiale donato per
approfondimenti personali ed eventi divulgativi.